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Tmhh racconta il suo ‘Fiore di Loto’: «L’album nasce dall’incontro tra due persone con una visione un po’ diversa della musica»

Uno degli album più interessanti usciti a fine 2019 è sicuramente ‘Fiore di Loto’ di Tmhh che arriva a poco più di un anno dall’altrettanto bello ‘Errare umano’. Michele Venanzoni – vero nome di Tmhh – da Recanati, classe ‘92, anche in questo lavoro mette al centro della composizione una forte introspezione, sebbene si guardi molto più intorno, a quello che lo circonda.

Fin dall’intro, l’album proietta nel mondo di Tmhh a cui fa da sfondo la parte sonora, completamente affidata da JJames, che non si preclude alcuna strada musicale, esplorando generi diversi, fino ad arrivare al metal nell’ultimo brano, ‘Olio su metal’ appunto.

Abbiamo chiacchierato con Michele-Tmhh per capire meglio questo rapper che, a dispetto dell’età, dimostra una profondità di pensiero e una capacità di introspezione che spesso è difficile trovare in persone di ben altra età anagrafica.

Partiamo proprio dall’inizio: come nasce il tuo nom de plume Tmhh, cosa significa l’acronimo e come mai lo hai scelto?

«’Tmhh’ l’ho sono scelto quando ero ragazzino e ho iniziato a fare i primi freestyle. Il suo significato è ‘Trade Mark Hip Hop’, cioè marchio registrato hip hop, ma, onestamente, oggi come oggi, non ho più idea del perché lo abbia scelto. Anzi, ad essere sincero, un po’ mi sono anche pentito».

Eppure, con soli due album, è diventato davvero un ‘marchio di fabbrica’ di un rap di qualità, come dimostra anche ‘Fiore di Loto’: come nasce questo nuovo lavoro?

«In realtà lo abbiamo fatto un un lasso di tempo veramente breve. E’ stato concepito, credo, in un paio di mesi, tre al massimo. Nasce dall’incontro con Marco, cioè JJames, che ha prodotto l’intero album. Ci siamo sentiti per caso: ci siamo incontrati e abbiamo iniziato a fare musica. Arrivati a un certo punto, ci siamo detti ‘ok, qua ci esce un album’ e abbiamo chiuso ‘Fiore di Loto’. Diciamo che è l’incontro tra due persone che hanno una visione un po’ differente della musica e, da parte mia, è stata un po’ una sorta di sfida, perché mi sono messo in gioco su quelle che non erano proprio le mie sonorità e il mio modo di fare musica. Alla fine però il risultato c’è stato ed è nato ‘Fiore di Loto».

Parlaci, allora, della tua visione della musica…

«Preferisco molto più l’approccio voce e strumento, la parte strumentale anche a livello di composizione. In questo caso, quando sono entrato in studio, sono andato da JJames e gli ho detto ‘ok, però basta con il rap, facciamo una qualcosa di più ‘musicale’. Le sonorità che caratterizzano ‘Fiore di Loto’ sono prevalentemente trap, ma i testi li ho scritti partendo sempre da un giro di chitarra, come faccio di solito».

Come mai la scelta di usare l’autotune?

«E’ stata una scelta stilistica: se trap dobbiamo fare, facciamola per bene e, quindi, ci voleva anche l’autotune».

L’album si chiama ‘Fiore di Loto’, quindi sulla copertina ti aspetteresti la rappresentazione di questo fiore, invece troviamo una chitarra. Raccontaci com’è nata …

«’Fiore di Loto’ è un titolo che rappresenta più il concetto legato a questo fiore, piuttosto che la pianta stessa. Invece la chitarra c’è perché, se ci si fa caso, sta più o meno in tutti i pezzi. Come ti dicevo prima, la maggior parte delle volte parto proprio da voce e chitarra per comporre. Da lì, poi, strutturo l’idea che ho in mente. La chitarra è decisamente il mio strumento preferito tra tutti e, quindi, l’ho voluta piazzare anche in copertina (peraltro realizzata da Claver Gold ndr)».

A quale brano dell’album sei più legato? E tra tutte le tue canzoni, quale pensi ti rappresenti di più?

«Allora, dell’album ti direi ‘Fiore di Loto’, la titletrack, soprattutto per il testo, mentre, a livello di musicalità, nel complesso preferisco ‘Living Fast, Die Young’. Se parliamo, invece, in generale, tra tutti, il brano che penso mi rappresenti meglio è ‘ Quello che non ho’».

In un momento in cui gli album sono pieni di featuring, tu hai fatto la scelta di non averne, cosa che rispecchia, comunque, perfettamente lo spirito introspettivo del disco. Ci sono comunque altri rapper con i quali, in futuro, ti piacerebbe collaborare?

«Certo. Ce ne sono parecchi: diciamo tutta la parte ‘buona’ del rap. Apprezzo molto Rancore, Johnny Marsiglia, mi piace molto Ghemon. Murubutu sicuramente: glielo chiederò per il prossimo progetto, Alessio oramai è un grande amico».

Allargando il discorso, come vedi oggi il rap e l’hip hop e cosa pensi della trap?

«Il fatto che sia diventato un fenomeno nazionale (perché questo è adesso) ha reso il tutto un po’ meno interessante per quanto mi riguarda. Non è che disprezzi la trap commerciale, semplicemente non mi appartiene. Non mi rappresenta niente, purtroppo. Sottolineo ‘purtroppo’, perché a volte mi piacerebbe anche entrare in quelli che sono i meccanismi e le dinamiche di questo tipo di musica, però non mi dà niente e, quindi, non mi ci rispecchio. Sono sincero, non l’ascolto neanche. Conosco solo i pochi pezzi che arrivano tramite la radio, ma, per il resto, non ho mai approfondito».

Se dovessi, come ti raffigureresti il tuo pubblico?

«Questa è una bella domanda: non credo di avere ancora un pubblico. Non credo, cioè, di poter dare una definizione al mio pubblico. Se ce l’ho, sono pochi e spero non siano di quella qualità che rappresenta la trap di moda, sia come genere, sia come modo di far musica. Spero, però, che abbiano un po’ di sale in zucca, quello sì».

Ascoltando i tuoi testi, le tue citazioni e i tuoi richiami, è difficile che chi ti ascolta sia ‘sprovveduto’, in effetti. E la parte visiva del tuo lavoro? Che importanza ha?

«Fosse per me zero – ride –, però bisogna adattarsi a quelle che sono le esigenze del mercato: se non hai un’immagine, non esisti. Bisogna, quindi, anche pensare a queste cose qua. Spero un giorno arrivi una persona che mi aiuti in questo, perché io non ne sono proprio capace. Non ce la posso fare».

Restando nell’ambito ‘immagine’, che rapporto hai con i social?

«Non riesco a fare operazioni studiate come si dovrebbe fare quando sei un artista e vuoi diventare qualcuno. Mi piace, però, pubblicare le mie cose quando ne ho voglia. Il fatto di dover per forza avere una programmazione, ad esempio, delle foto in uscita, mi fa un po’ cadere il tutto. E’ come se diventasse una cosa imposta. Chiusa. Non un piacere personale, ma perché ‘devo farlo’. E a quel punto diventa un lavoro».

Guardando avanti, quali sono i tuoi progetti futuri?

«Ce ne sono – ride – ma non voglio spoilerarteli. Sto lavorando con un altro ragazzo a un progetto molto più focalizzato sul cantautorato piuttosto che sul rap. Stiamo cercando di trovare un connubio tra questi due mondi e vedremo cosa ne uscirà fuori».

In generale quale musica ti ha influenzato?

«Sicuramente il cantautorato in generale, soprattutto in questo periodo. In primis, Fabrizio De André, ma un po’ tutto: da Guccini a Dalla a Graziani. Poi ci sono anche molti autori esteri: diciamo che, grazie alla mia famiglia, sono cresciuto ascoltando della bella musica».

Ed essendo nato e cresciuto a Recanati, hai assimilato un po’ di pessimismo leopardiano?

«Più che pessimismo, direi nichilismo. No, Giacomino lo vedo più come un vicino di casa che come un grande poeta. Avendocelo qua, sembra assurda come cosa, ma esci e lo incontri, vedi la statua. La casa l’avrò vista per la prima volta il secondo o terzo anno di asilo, poi alle elementari, alle medie e così via. E’ un po’ come fosse un parente che vai a trovare ogni tanto».

Visto che in ‘ Quello che non ho’ dici che quello che ti manca è l’invito a Sanremo, immancabile la domanda su tutte le polemiche che stanno nascendo attorno all’edizione di quest’anno del festival…

«Credo che sia roba da niente. Si attaccano ancora a queste cose dei testi, perché bisogna far polemica per parlare un po’, se no, appunto, si rischia di passare inosservati. Invece, così si fa vedere che si esiste e la gente prende in considerazione la stessa manifestazione».

Prima di concludere, consigliaci un libro da leggere, un disco da ascoltare e un film da vedere…

«Allora, come libro diciamo quello che sto leggendo adesso e, cioè, ‘La coscienza di Zeno’ di Italo Svevo. Come film, direi ‘Parasite’ di Bong Joon-ho e, come disco, ‘La buona novella’ di Fabrizio De André».

Scelte che non sorprendono, ascoltando Tmhh-Michele: «Questa città grigia ti può insegnare che i bei tramonti hanno bisogno di nubi in cielo per splendere», dice nell’intro di un album che continua a rappresentare una delle uscite più interessanti di questo periodo. Un disco che si fa scoprire, ascolto dopo ascolto e che raccoglie molti momenti felici in 11 brani e una mezz’ora di musica.

Biografia – Michele Venanzoni in arte TMHH nasce a Recanati nel gennaio del 1992. La passione per la musica gli viene trasmessa dalla famiglia, composta in gran parte da musicisti. Il suo bagaglio di cultura musicale abbraccia diversi generi, dagli storici cantautori italiani ad artisti meno conosciuti. Si avvicina quasi subito all’ Hip Hop , iniziando a scrivere testi e produrre musica insieme agli amici di infanzia. Le rivalità con i coetanei delle città limitrofe sono fonte di ispirazione per la stesura di testi o dissing. Presto quelle che erano rivalità si trasformeranno in collaborazioni, nasce così il gruppo “Teste Calde Click” con il quale realizza il primo lp “La X”. Dopo alcuni anni insieme il gruppo si scioglie ed ognuno intraprende percorsi differenti. Nel Settembre 2014 , sotto la Glory Hole Records, esce “RooRRoulette”, il primo album solista di TmHH in collaborazione con il produttore Lil’Thug. Nell’Aprile 2018 esce “Campione”, primo singolo del suo nuovo progetto solista, prodotto da Lil Thug per Glory Hole Records. Pochi mesi dopo “Il Passeggero” è il secondo singolo estratto dal suo nuovo album, in uscita a Novembre, anticipato dall’ultimo singolo “Quello che non ho”. Il 14 novembre 2018 esce, per la Glory Hole Records, “Errare Umano”: il secondo album di Tmhh riceve il plauso di pubblico e critica, grazie ad una scrittura raffinata e ad una grande ricerca musicale. “Fumo e cenere” in collaborazione con Claver Gold è l’ultimo singolo estratto dal progetto, che Tmhh sta portando sui palchi di tutt’Italia all’interno del Requiem Tour. “Fiore di Loto” è il titolo del suo nuovo album, fuori per Glory Hole Records, interamente prodotto da JJames.

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