
Può un cammino interiore e personale diventare qualcosa di condivisibile con tutti?
Sì, può. E a renderlo fruibile è l’arte. Da sempre è così e, verosimilmente, sarà sempre così.
In tutti i casi, così è, oggi, per Caparezza – al secolo Michele Salvemini – e il suo ‘Exuvia’ che, fin dal suo inizio, sembra voler segnare una tappa fondamentale nel percorso sicuramente artistico, ma forse anche umano dell’autore, segnando un confine tra un ‘prima’ e un ‘dopo’.
Ma andiamo per ordine: cos’è un’exuvia? Un’exuvia è quel che resta quando un insetto cambia pelle, una sorta di esoscheletro che viene abbandonato dall’insetto e ne riporta le fattezze prima della muta. Già l’aver dato questo titolo all’album; già l’aver scelto il brano omonimo come singolo che trainava l’uscita del disco fanno comprendere come il concetto dell’aver «cambiato pelle» e essersi lasciato dietro un esoscheletro con le proprie sembianze passate, sia il perno sul quale ruota l’intero lavoro. Un concept nel quale Caparezza parla di se stesso, della sua carriera, senza dimenticare nemmeno gli esordi come Mikimix sui quali, finora, aveva glissato elegantemente, pur senza rinnegarli.
Che sia un viaggio nella carriera di Caparezza si capisce bene fin dal primo brano, ‘Canthology’, che, di fatto, è un vero e proprio compendio dei brani più famosi che, nel corso della sua carriera, ha realizzato. Ci sono tutti tanto che può essere perfino divertente riuscire a trovare tutte le autocitazioni che vi sono.
Ideale seguito di ‘Prisoner 709’, dove già affrontava temi estremamente personali, in ‘Exuvia’ fa un passo ulteriore e crea un sentiero, al termine del quale troviamo proprio un’exuvia, la sua: un modo molto ‘caparezziano’ per dirci che di qua in poi si scrive una nuova storia.
Come sarà, ovviamente, non è dato di saperlo, ma intanto ci godiamo il ‘riassunto delle puntate precedenti’.
Le citazioni sono, da sempre, una cifra stilistica di Caparezza: qua se ne trovano tantissime, come del resto anche nei lavori che hanno preceduto ‘Exuvia’. Siano letterarie, cinematografiche, televisive, mainstream o ricercate, ci si può sbizzarrire a cercare riferimenti di ogni tipo. Si potrebbe dibattere se un numero così alto di citazioni aiuti la comprensione del testo o, in qualche modo, la renda più ostica. In realtà, quello che per uno che ascolta un brano è palese, per un altro può essere incomprensibile. In ‘Eyes Wide Shut’, ad esempio, sono varie le citazioni legate a serie televisive, ma anche al Maestro Miyazaki e al suo spettro, tanto per fare un esempio. Eppure, ci sono persone che non guardano le serie tivvù. Esistono. Così come esistono persone che magari non conoscono i film di Miyazaki. O non sanno chi sia Ghostface. Chissà se un testo del genere porta queste persone ad ampliare le proprie conoscenze e, magari, comprendere perché si cita ‘La casa di carta’ o lo spettro, oppure se prendono il testo così com’è. E’, d’altronde, vero che queste sono riflessioni che, nell’economia di un album, sono più che marginali e che sicuramente a Caparezza nemmeno passano per la testa né prima di scrivere un testo, né dopo. E va bene così.
Quello che è, invece, sicuro è che ‘Exuvia’ è un album che va ascoltato più e più volte. E, ogni volta, ci si trova qualcosa di nuovo. In un momento di ascolti disattenti, di musica ‘mordi e fuggi’, quello che propone Caparezza è qualcosa che molto diverso. Bisogna fermarsi e darsi il tempo di entrare in un mondo, quello dell’autore, non sempre facilissimo. Un viaggio che, comunque, vale la pena fare e che porta a un’altra dimensione della musica. Una dimensione che sicuramente richiede impegno, ma che ripaga. E che dimostra come Caparezza, ancora una volta, vada controtendenza, dando alle stampe un disco che vuole tempo per sé, quando sempre più, invece, si va verso ‘fenomeni’ che nascono e muoiono nell’arco di un battito d’ali.
Ha senso parlare di ogni brano e cercarne il significato? No, non lo ha. Ha poco senso sempre, poiché ognuno entra in sintonia con un pezzo a seconda del proprio gusto, ma anche del proprio vissuto o del momento che sta vivendo e sul significato dei testi, in linea di massima, solo gli autori possono fornire una chiave di lettura che abbia senso. Il resto sono speculazioni, basate su gusti personali. Di fronte, poi, a un lavoro come ‘Exuvia’, perde ancor più di significato il cercare di dare delle spiegazioni. Per questo motivo non ci diamo ad arrampicate sugli specchi che lascerebbero il tempo che trovano. Certamente ci sono brani che, fin dal primo ascolto, entrano in testa e non ne escono più e ‘Campione dei Novanta’ è un perfetto esempio di questo (ma anche ‘Fugadà’ non scherza); pezzi più ostici, come ‘Zeit’; c’è un brano come ‘La Certa’ dove parla la morte in persona, senza però usare toni ‘tristi’, ma dandone una lettura tendenzialmente positiva. Insomma, ci si può trovare veramente molto. Perfino una provocazione come in ‘Eyes Wide Shut’, dove Caparezza ci dice di ‘non elogiare le sincerità, perché non è un merito, è un mezzo’ e anche che ‘l’arte è meglio della vita’, proprio in quanto finzione.
Difficile dire se abbia ragione o meno, quello che è sicuro è che l’arte contribuisce a plasmare la realtà, mettendone in risalto aspetti che, forse, diversamente sfuggirebbero o rimarrebbero nell’ombra.
E questo ha sempre fatto Caparezza con i suoi album.
E questo fa Caparezza con ‘Exuvia’.
TRACKLIST
1. Canthology feat. Matthew Marcantonio
2. Fugadà
3. Una voce (Skit)
4. El Sendero feat. Mishel Domenssain
5. Campione dei Novanta
6. La matrigna (Skit)
7. Contronatura
8. Eterno paradosso
9. Marco e Ludo (Skit)
10. La scelta
11. Azzera pace
12. Eyes Wide Shut
13. Ghost memo (Skit)
14. Coma Pripyat
15. Il mondo dopo Lewis Carroll
16. Pi Esse
17. Zeit!
18. La certa
19. Exuvia