
“E’ un ritratto autobiografico di una persona normale, con normali emozioni, perciò ci sono gli alti e bassi che hanno caratterizzato qualsiasi aspetto della mia vita”. Con queste parole, Courtney Barnett ha descritto nella nota stampa il suo nuovo – e primo – album di studio, che arriva dopo il doppio ep ‘A Sea of Split Peas’.
Dopo aver suonato con diverse band nella città natale di Melbourne, Courtney Barnett ha chiesto in prestito i soldi alla nonna e dato l’avvio a un progetto culminato con l’apertura della sua etichetta, la Milk Records e ha realizzato due ep: ‘I’ve Got a Friend Called Emily Ferris’ del 2012 e ‘How to Carve a Carrot into a Rose’ del 2013. Nello stesso anno, i due ep sono stati ripubblicati in un’edizione unica (e doppia) dal titolo ‘A Sea of Split Peas’.
L’anno successivo, l’artista australiana lo ha passato interamente a scrivere nuove canzoni per l’album che adesso abbiamo davanti: un lavoro personale che ha effettuato senza coinvolgere gli altri musicisti della sua band, i quali hanno potuto ‘appropriarsi’ di quelle canzoni solo una settimana prima che iniziassero le registrazioni: nelle intenzioni della Barnett, infatti, c’era la precisa intenzione di catturare il suono più fresco possibile e questo non sarebbe stato possibile se li avesse coinvolti fin dall’inizio del processo creativo.
Ci è riuscita? Gli intenti sicuramente sono buoni e il prodotto finale non è senz’altro discutibile. Si tratta di un buon disco, che si fa ascoltare e riascoltare. L’orginalità, no. Quella sta da un’altra parte. I richiami alla musica Anni Novanta e, in particolar modo, al grunge, non sono pochi, ma questo, in definitiva, può non essere un male. Courtney Barnett, infatti, riprende i tratti migliori degli Anni Novanta e li porta a metà degli Anni Dieci, ridonando loro nuova vita e nuova linfa.
Una prova importante, quindi, per questa ‘esordiente’ che fa ben sperare nel prosieguo della sua carriera, ma, Courtney Barnett, dopo questa prova, ha senz’altro ancora molto da dimostrare.