
I cambiamenti sono sempre qualcosa di ‘pericoloso’: possono essere passi avanti o rappresentare passi indietro. Non lo si sa prima di aver tentato una nuova strada se questa sarà migliore o peggiore della ‘vecchia’, però spesso vale la pena provare, soprattutto quando ci si muove in ambito artistico o si rischia di ripetersi all’infinito. Cosa che sicuramente non fa Murubutu che si conferma, anche con il tour de ‘La vita segreta delle città’, un esploratore accorto e attento (qua la recensione all’album).
Se la scelta di tentare nuove strade e sperimentare nuovi percorsi è spesso una scommessa, va ammesso che al momento Murubutu ha vinto tutte quelle che ha fatto, compresa questa che sta portando sui palchi italiani in queste settimane.
Era successo con i primi tentativi della presenza di una band – seppure embrionale – sul palco in occasione del tour di ‘Storie d’amore con pioggia’ (ne potete leggere qua); era successo con l’incursione nel mondo del jazz e nella dimensione teatrale dello scorso anno, con i concerti con la Moon Jazz Band (e qua trovate qualche nota in proposito) ed è successo con ‘La vita segreta delle città’, che ha fatto tappa al Viper di Firenze nei giorni scorsi e che finora ha registrato solo sold-out.
Sicuramente, a fare la differenza maggiore rispetto al passato è la presenza sul palco di una band completa: tastiera, basso, chitarra, batteria, tromba e, ovviamente, la voce di Dia. Un ensemble che lo porta in un’altra dimensione rispetto al passato, ma che, al tempo stesso, testimonia concretamente un percorso iniziato, come dicevo, da tempo e che lo ha visto lavorare su dei live più completi che qua raggiungono un livello oggettivamente alto.
L’inizio del concerto è affidato a uno dei brani più suggestivi e coinvolgenti del nuovo album, ‘Minuscola’ che, avvalendosi dell’arrangiamento per l’esecuzione da parte della band, diventa ancora più coinvolgente e proietta immediatamente nel mondo di questo nuovo album.
Inoltre, il brano – ma soprattutto la storia che racconta – dà a Murubutu l’opportunità di spiegare lo spirito (o meglio, uno degli spiriti) dell’album appena uscito e del ruolo che hanno sempre avuto, hanno ed avranno i migranti nella nascita e nella crescita di quelle città che sono tema centrale dell’album e che si arricchiscono proprio dalla contaminazione tra culture, come sottolinea lo stesso artista dal palco.
Il secondo pezzo non poteva che essere il singolo che ha trainato l’uscita de ‘La vita segreta delle città’ e, cioè, ‘La città degli angeli’, di cui ci spiega la genesi, tra il letterario e il cinematografico e che presenta con una versione live che mette ancora più in risalto una storia molto suggestiva, donandole uno spessore forse ancora più profondo.
Ed è già tempo di fare un salto nel passato e, più precisamente, di immergersi nella notte con ‘La stella e il marinaio’ che resta uno dei brani più belli di ‘Tenebra è la notte’ (anno 2019) e di cui ho parlato, a suo tempo, anche in un video delle Pillole del Friday.
Nella versione originale eravamo di fronte a un grande testo supportato da un’ottima produzione che lo portava sempre a toccare corde molto profonde. Adesso siamo di fronte a una versione con un suono più ‘caldo’ che, oltre ad essere più in sintonia con quello che sta facendo oggi Murubutu, si addice benissimo (forse perfino meglio) all’atmosfera del pezzo.
La setlist – studiatissima e ben calibrata – prosegue alternando brani nuovi a brani oramai classici. Tra questi ultimi non mancano ‘I marinai tornano tardi’, ‘Temporale’, la sempre splendida in ogni sua versione ‘Il migliore dei mondi’. E, ancora, pesca dal repertorio, ‘Multiverso’ uno dei brani migliori di ‘Storie d’amore con pioggia’ e da ‘L’uomo che soffiava nel vento’, l’immancabile ‘Grecale’.
‘Infernum’, invece, non ci ‘regala’ la classica ‘Ulisse’ e nemmeno ‘Minosse’, sebbene per qualche secondo ci abbia fatto illudere che fosse quello il brano prescelto, bensì ci porta a incontrare ‘Paolo e Francesca’, che si conferma essere uno dei brani più ‘morbidi’ di quell’album e, così come fu adatto a essere il singolo che ne accompagnò l’uscita, adesso, a distanza di vari anni, dimostra di essere sufficientemente versatile da poter reggere qualsiasi arrangiamento.
Da ‘Tenebra è la notte’ arrivano anche ‘Occhiali da Luna’, brano che serve per presentare la band e ‘Le notti bianche’ che è l’encora del live.
Non manca, comunque, nemmeno un altro grande classico e, cioè, ‘Scirocco’, qua presentato con un arrangiamento veramente notevole: senza togliere niente alla drammaticità della versione originale, ne addolcisce alcune asperità musicali e la rende – anche in questo caso – forse più adatta all’oggi. In buona sostanza, qua forse più che in altri brani, si percepisce il lavoro di crescita che c’è stato: la canzone (e l’artista) è cresciuta senza snaturarsi, ma arricchendosi e riuscendo a camminare nel tempo. Si è rinnovata senza invecchiare.
L’esplorazione del nuovo album è estremamente varia e non così scontata. Ha scelto i brani forse più classici, come ‘451’ e ‘Il deserto a New York’, ma anche ‘Megalopoli’. Brani che hanno già una grande forza su traccia e che live vivono una loro dimensione sicuramente diversa, ma altrettanto di impatto. C’è ‘Nora e James’, non mancano ‘Flâneur’, ‘La vita segreta’ o ‘Grande città’ che si conferma con uno dei pezzi migliori dell’album anche nella veste live. Quello che appare chiaramente è che anche quei brani che magari non esaltano su traccia, nella loro versione dal vivo diventano qualcosa di diverso e lasciano veramente il segno in chi li ascolta. Se appare chiaro che l’esplorazione dell’«universo jazz» fatta lo scorso anno non è passata senza lasciare segni, ma si fa tuttora sentire in maniera chiara, il «mondo» che sembra predominare in questo viaggio è quello del funk. Sonorità funky – molto accurate e raffinate – appaiono un po’ in tutti i nuovi pezzi, creando spesso atmosfere diverse rispetto a quelle che si sentono su traccia registrata e possono perfino spingere i brani verso qualcosa di migliore.
Buonissima l’intesa sul palco della band, formata da musicisti veramente notevoli, che danno un forte contributo su ogni pezzo. Sempre in crescita è Dia che dimostra non solo di avere una grande voce, ma anche di essere una presenza su taluni brani che può fare la differenza. Così come altra presenza oramai imprescindibile è quella di Gabriele Polimeni alla tromba e filicorno, a cui si devono sfumature originali e perfette per esaltare i pezzi, soprattutto in questa veste.
Certo è che questa formazione cambia gli spazi anche dal punto di vista fisico, cosa che a qualcuno potrebbe creare dei problemi. Non a Murubutu, comunque, che non si è solo adattato agli spazi nuovi, ma ne ha preso possesso in modo deciso, dominandoli con sicurezza e occupandoli con eleganza e classe.
Se i cambiamenti sono spesso delle scommesse, come dicevo, Murubutu questa scommessa l’ha vinta, mettendo a punto un live raffinato nei suoni, negli arrangiamenti, ma anche nel modo di presentare i brani, caratterizzato da una grande naturalezza che, probabilmente, deriva dalla sicurezza che niente è lasciato al caso.
O, almeno, questa è la sensazione.
Un live da non perdere, quindi, anche se per questa tranche ci sono solo altre tre occasioni per poter godere di quello che è uno spettacolo completo, coinvolgente ed emozionante.











