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Moder parla di ‘Mantiq At-Tayr – Il verbo degli uccelli’ dove la musica è al tempo stesso dialogo narrativo, evocativo e mistico

Non era sicuramente facile decidere se andare in scena o rimandare lo spettacolo a tempi migliori, ma a deciderlo sono stati gli oltre 100 protagonisti sul palco di ‘Mantiq At-Tayr – Il verbo degli uccelli’ (leggi qua per saperne di più), lo spettacolo che ha segnato l’esordio dell’attività del Gran Teatro Lido Adriano e che è stato in scena fino al 2 giugno, segnando anche l’apertura del Ravenna Festival.

A raccontarlo è Lanfranco VicariModer, che oltre a essere il direttore artistico del Teatro, ha curato tutta la parte musicale dello spettacolo: «Sono stati i ragazzi a dare la spinta decisiva. Noi abbiamo chiesto loro cosa volessero fare e, nonostante 3 di loro abbiano subito gravissimi danni a causa dell’alluvione, hanno detto ‘Noi siamo qua’. Quando loro ti chiedono di tornare, il tuo personale sconforto e sconcerto passa in secondo piano. Sinceramente, io avevo pensato di spostare tutto di una quindicina di giorni, invece, quando li ho visti così motivati, considerando anche lo spirito del progetto e, cioè, di dare vita a un teatro di comunità, ho pensato di essere io a dovermi mettere a loro disposizione e così è stato». Vicari, anche parlando, è ancora molto scosso da quanto è accaduto: «Sull’andare in scena non avevo preso nessuna posizione – ricorda -. Mi ero subito catapultato nell’emergenza, perché molto scosso dalla cosa e non riuscivo ad avere un’opinione chiara in merito. Mi sono chiesto se avesse senso andare avanti. Forse sì, perché è un segno di ripartenza per una comunità. E noi siamo una comunità. E la comunità si specchia in noi. Non siamo una compagnia, ma vogliamo essere proprio questo: una comunità, anche perché, a parte Luigi (Dadina, regista dello spettacolo e co-fondatore del Teatro dell’Albe), nessuno di noi si occupa di teatro».

Un debutto non semplice, comunque: alla già fisiologica concitazione che precede ogni ‘prima’, si è unita l’emergenza dovuta all’alluvione, che sicuramente non ha predisposto gli animi nello stato migliore e i tempi che stringevano sempre più. «Non è stato facile. Anzi è stato faticoso, sia mentalmente che fisicamente, ma nell’ultima settimana – dice Moder –, ho visto cambiare faccia a tutti: avevamo un ritmo che da fuori poteva sembrare forsennato, ma che, dal di dentro, era lento e giusto. Avevamo trovato il nostro passo. E’ stato un percorso non facile, ma per me è stato fondamentale, perché mi ha proiettato in una dimensione collettiva che avevo perso da tempo».

La musica, in ‘Mantiq At-Tayr – Il verbo degli uccelli’, ha un ruolo decisamente importante: «diventa narrativa – spiega Moder – oltre che evocativa. C’è un passaggio dello spettacolo, ‘Le Sette Valli’, che racconto tra musiche afghane e rap. Qua nasce un dialogo molto bello tra parole e musica: ogni volta che c’è una mia strofa, la musica risponde con una quantità esattamente proporzionata alle parole, della stessa esatta lunghezza. Ne viene fuori un botta e risposta che rende benissimo il senso della profondità di questo passaggio. Musicalmente, c’è un momento narrativo, come dicevo, – afferma l’artista – che a me piace molto, ma c’è anche un momento veramente mistico, dove recito sopra la musica e ha un momento liberatorio nel finale. Poi c’è il ballo che fa da sfondo a tutto. Vedo la musica come una cornice, con un po’ di percussioni, qualche melodia che entra ed esce. E’ come un dialogo continuo con la musica. Un dialogo che cambia ogni sera, evolve e si arricchisce di nuovi respiri. Penso, alla fine, che proprio questa sia la nostra cifra».

Gli fa eco Francesco Giampaoli, che ha composto la parte strumentale: «Ho ascoltato tanta musica mediorientale, poi, come faccio sempre, ho mescolato tutto: ho sempre collaborato con culture anche lontane dalla nostra, quindi, sono sempre stato aperto ad accogliere sonorità che abbiano sfumature diverse e non familiari. Non c’è per niente un approccio filologico in questa musica, però è un territorio nuovo che mischia queste culture diverse. La cosa strana nel farla è che mi sono accorto che i costava tantissima fatica di quella buona. Un po’ come quando fai uno sport che ti diverte molto, ma arrivi alla fine e sei stremato. Ecco, alla fine delle composizioni mi trovato stremato, ma soddisfatto per essere riuscito ad andare in queste zone per me nuove». Un approccio emotivo, che coinvolge, quindi, che parla e smuove soprattutto le emozioni, così come in fondo dovrebbe essere.
«Questo processo è stato accolto molto bene da Moder – dice ancora – che ci ha messo dei testi ispirandosi al copione, ma soprattutto scrivendo da un punto di vista ritmico e melodico e riuscendo a far stare insieme sonorità tradizionali al rap, cosa affatto scontata né facile».

Anche l’essersi confrontati con un testo così profondo e così lontano per matrice culturale da quello che generalmente siamo abituati a frequentare non è stato facilissimo. La sfida è stata soprattutto il renderlo fruibile per tutti, a prescindere da quanto possa essere familiare la cultura mediorientale. «Trovare le chiavi di lettura – afferma Moder – e riuscire a fare un teatro popolare erano le vere sfide. Il Gran Teatro di Lido Adriano è pensato per essere una struttura il più orizzontale possibile, ma, al tempo stesso, mira a creare delle produzioni che siano sempre al massimo delle proprie potenzialità. Quando pensavamo alle musiche, quindi, anche considerando il gruppo che ci lavorava, grazie anche al fatto che era il più ristretto, abbiamo avuto il tempo di approfondire i diversi aspetti. Questo non accadeva quando mi sono trovato catapultato nel ruolo di aiuto-regista, cosa che ho imparato a fare in corsa, perché dovevo lavorare con gli 80 e più ragazzi che vengono a recitare».

Quello che Moder e i suoi collaboratori cercavano di trovare era una chiave nuova nel testo «Così come tra noi – racconta Lanfranco Vicari – dato che Checco (Francesco Giampaoli) e Luigi (Dadina) ed io abbiamo lavorato già insieme. Ci ha aiutato molto la comunità che si è chiusa attorno a noi, aiutandoci nel percorso intrapreso. E’ stato così che ogni giorno i pezzi hanno preso sempre più forza e io stesso dovevo lavorare sempre di più per stare loro dietro: è stato molto molto bello».

Ma com’è stato mettere insieme musica, teatro, un così alto numero di persone di tutte le età – si va dalla più piccola, la figlia di Lanfranco che ha 5 anni al più anziano, Gabriele, di 85 anni –, impresa che sembra quanto meno difficile? «All’inizio gruppo musicale e i gruppi teatrali dei bambini, degli adolescenti e degli adulti lavoravano separati – spiega Moder – poi, una sera, ci siamo trovati finalmente tutti insieme al Cisim: eravamo 120 persone con gli strumenti e la necessità di muoversi, nonostante gli spazi ristretti. Da lì, abbiamo chiuso lo spettacolo in 4 giorni».
Un gruppo che raccoglie persone provenienti da ogni angolo del mondo «Noi, a Lido Adriano ci siamo abituati, siamo una comunità molto cosmopolita e forse lo diamo un po’ per assodato, ma così non lo è. La magia, affatto scontata, è che non c’era più differenza tra nessuno. Abbiamo scelto di partire e arrivare tutti assieme». Ed è quello che è accaduto.
Lo testimonia anche Giampaoli: «Non è stato facile mettere insieme tutte queste culture diverse che hanno dato vita allo spettacolo. La maggior parte di loro non solo non sono dei professionisti, ma nemmeno avevano fatto delle esperienze in materia. Però, devo ammettere che il gruppo ha legato tantissimo e i musicisti sono stati davvero molto bravi a cercare di capire le sfumature e il cuore delle musiche. Lo spettacolo è stato davvero bello e credo che il segreto sia stato proprio il fatto che il gruppo è riuscito ad essere realmente legato».

L’idea di base, quindi, è quella di dare vita a un teatro popolare, dove «piano piano – afferma Lanfranco – tutti possano trovare un proprio spazio, non per forza all’interno del perimetro del palco, ma anche collaborando in altri modi. Poi, deve cambiare sempre anche la posizione che abbiamo ognuno di noi, diventando diversa anche la responsabilità che abbiamo. Il nostro è un luogo molto collaborativo, dove si recupera il concetto forse oggi un po’ dimenticato di ‘casa del popolo’».

Su questi presupposti è nato ‘Mantiq At-Tayr – Il verbo degli uccelli’, di fatto, il primo spettacolo prodotto dal Gran Teatro Lido Adriano. Lo scenario dello spettacolo è stato realizzato da Nicola Montalbini, che ha lavorato per mesi per questo spettacolo e, poi, è stato chiamato anche per realizzare tutta la grafica del Ravenna Festival. «Tra l’altro – racconta Moder – è stato lui a proporre questo testo che io non conoscevo e che è totalmente un altro viaggio anche dalla letteratura e filosofia indiana a cui mi ero appassionato tempo fa. Qua ci si avvicina all’Islam antico e medievale che è completamente diverso da quello che noi sappiamo dell’Islam: è qualcosa che va oltre e ti fa capire molte cose. Un testo del genere ti fa partire per un viaggio molto interessante, ma per il quale ti servono anche più di una guida per entrare realmente nel testo. Si tratta di un mondo lontano. Certamente, come mi hanno fatto notare, anche nel Cristianesimo antico si trova l’annullamento dell’ego per raggiungere Dio, ma noi occidentali abbiamo perso questo aspetto: il consumismo ce lo ha tolto. Da occidentali moderni, nel quotidiano, l’individualismo ha preso sicuramente il sopravvento: siamo iperconcentrati sulla piccola emozione personale e tutti si infastidiscono per tutto, mentre questo testo ci insegna a togliere la parola ‘io’, cosa che in questo momento, da noi almeno, è molto difficile».

Secondo Moder, in questo momento è non è facile muoversi in un contesto che abbia uno sfondo sociale, ma accade lo stesso anche nel campo artistico. «E’ tutto in mano a imprenditori – dice riferendosi alla musica – come anche nel passato, ma, a differenza di quanto accadeva allora quando parlavano sempre al plurale, usavano il ‘noi’., adesso è tutto ‘al singolare’. Non erano meglio di quelli di oggi in quanto a etica, ma ti facevano capire che dietro, comunque, c’era un gruppo. Adesso, invece, anche artisticamente è tutto un ‘io’ e non esiste più il ‘noi’.  Poi, personalmente, a me va bene, perché sono abituato a rendere conto solo a me stesso. Pur avendo dei collaboratori, con i quali mi confronto, sono comunque abituato a fare da solo. Anzi, alcuni di questi collaboratori me li sono cercati proprio perché avevo bisogno del confronto con loro».

E com’è stato confrontarsi con un progetto così diverso da quello di un album, ma anche con delle sonorità tanto lontane? «In qualche modo, per me, è stato molto simile a fare un disco, perché cerco sempre di abbandonare un canone che magari mi può venire dal disco precedente. L’ho sempre fatto: ho sempre cercato di allontanarmi da dov’ero per lanciarmi da un’altra parte. E’ sempre un po’ come fare un salto nel vuoto, ma per un tuo disco lo fai da solo e decidi quando aprire il paracadute e come cadere, qua te lo fanno fare. Ogni sera confrontarsi con un centinaio di persone e dover essere convincente non è facile. Avendo, poi, un ruolo di guida, dovevo essere due volte più potente, perché dovevo essere io a dare loro la forza. E’ stato molto importante per me, anche perché, come dico sempre, per me l’ispirazione non esiste, ma si tratta di una condizione in cui ci sono le condizioni che ti portano a essere più aperto. Secondo me, in realtà, è la contingenza che fa la creatività».

Prima di lasciare Moder, però, una domanda è d’obbligo: a quando il prossimo album? «Lo sto scrivendo – dice – e dovrebbe essere pronto in inverno. Volevo essere più avanti con il lavoro, ma ho dovuto fare delle scelte».

INFO:
www.ccisim.it/gtdla/ 

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