
Quando De Gregori scrisse “Viva l’Italia”, il paese non stava passando un bel momento. Era il 1979, c’era il terrorismo, gli anni di piombo. La canzone nasce come tributo a un Paese che, sebbene disperato e colpito al cuore, aveva sempre dimostrato di avere gli anticorpi per reagire. Una canzone che spiazzava già dal suo titolo e che sembrava provenire dagli ambienti di cultura di destra, ma che in realtà era un atto d’amore verso il nostro Paese. Non si tratta quindi di banale nazionalismo, ma di una profonda elaborazione della storia d’Italia. La canzone ha una cadenza ritmica particolare, il cantato è quasi recitato, la musica è larga, con un andamento campagnolo che evoca la musica popolare italiana, il melodramma, il tre quarti verdiano.
Per centrare il più possibile il senso della canzone è necessario focalizzarsi sull’inizio e sulla fine. All’inizio c’è l’Italia “liberata”, la fine della guerra. E poi arrivano i successivi 35 anni di storia attraverso immagini, accenni, situazioni. Una carrellata di valzer e di caffè, di giornali e di cemento, di giardino e di galera. C’è la data del 12 dicembre, il giorno della strage di Piazza Fontana. L’ultimo verso è “Viva l’Italia, l’Italia che resiste”: un verso inequivocabile e collegato a quello iniziale l’Italia “liberata”: Liberazione e Resistenza. Un atto d’amore, una canzone di resurrezione.
Buon 25 Aprile!
[Rubrica a cura di Carlo Puddu]