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‘Amends’ l’album dei Grey Daze è un tuffo al cuore per chi ha amato Chester Bennington e i Linkin Park

Per chi ha amato i Linkin Park, ‘Amends’ è una sorta di pugnalata allo stomaco. Sebbene fatta con la band progetto parallelo che Chester Bennington portava avanti, i Grey Daze, c’è molto dei Linkin Park in quelle 11 tracce postume, uscite in questi giorni.

Musicalmente parlando, manca sicuramente la grinta e l’innovazione che arrivano puntuali con Mike Shinoda, ma per il resto, siamo perfettamente in ‘casa Linkin’.

In linea di massima, gli album postumi sono tutti mere operazioni commerciali che portano un bel gruzzoletto agli eredi del ‘caro artista estinto’ e, sempre in linea di massima, hanno ben poco valore artistico. Già, perché se una canzone è rimasta per una carriera chiusa in un cassetto, un motivo ci dovrà pur essere e volerla tirare fuori per forza da quell’ombra in cui era stata relegata, per farne ‘ghiottoneria per fan’ è, in certi casi, quanto meno crudele nei confronti dell’artista.

Poi ci sono le eccezioni.

Ecco, ‘Amends’ è una di queste eccezioni.

Del resto, era un album pronto per essere dato alle stampe poco prima che Chester Bennington si togliesse la vita a causa di quella depressione che lo aveva perseguitato per l’intera vita.

Chiaramente, la pubblicazione è stata stoppata, ma il lavoro è restato lì. Intatto. E i compagni di viaggio di Bennington, i Grey Daze (formati da Sean Dowdell, Mace Beyers e Cristin Davis), hanno deciso di ‘rinfrescare’ le canzoni prima di stamparle.

Quasi tutti i brani sono stati composti negli Anni Novanta, ma hanno ritrovato una loro nuova primavera nelle versioni che sono andate poi a comporre la tracklist di ‘Amends’.

Gli undici brani si discostano dalla produzione dei Linkin Park fondamentalmente perché più ‘melodici’, più ‘ballad’. C’è sicuramente una vena più ‘tranquilla’ nella musica dei Grey Daze rispetto a quella proposta dai Linkin. Fa eccezione ‘B12’, brano sicuramente più ‘movimentato’ e che, anche come testo, affronta tematiche sociali e non personali. Quasi sicuramente il migliore dell’album e che si avvale della presenza di Head e Munky dei Korn. Poi, però, con ‘Soul Song’ si torna a tematiche decisamente più personali, come un viaggio dell’anima alla ricerca dell’illuminazione. Peccato aver affidato la chiusura a un brano come ‘Shouting Out‘, perfetto in un’esibizione dal vivo (con i suoi coretti), ma francamente un po’ fiacco a chiusura di un disco del genere.

A restare invariata, invece, è la voce di Bennington. Una delle più riconoscibili dagli Anni Novanta ad oggi. E una di quelle voci che – per quello che diceva e come lo diceva – non sarà mai rimpianta abbastanza, poiché, come questo album dimostra, aveva ancora molto da dire.

TRACKLIST

1. Sickness
2.  Sometimes
3.  What’s in the Eye
4.  The Syndrome
5.  In Time
6.  Just Like Heroin
7.  B12
8.  Soul Song
9.  Morei Sky
10.  She Shines
11.  Shouting Out

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