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Bruce Springsteen No Nukes 1979: un concerto scomparso, un doppio album, un film

Quello che esce oggi è un documento straordinario per chi ama la musica Rock: The Legendary 1979 No Nukes Concert , una formidabile macchina del tempo che ci riporta al Madison Square Garden di New York, nel settembre del 1979.

A seguito dell’incidente alla centrale nucleare di Three Mile Island in Pennsylvania, un gruppo di musicisti e attivisti californiani si unirono nel nome M.U.S.E. (Musician United for Safe Energy), per organizzare un grande concerto di beneficenza per raccogliere fondi contro il pericolo nucleare e a favore di una energia alternativa e più sicura.

C’erano tutti i grandi nomi della West Coast : Jackson Browne, Crosby, Stills and Nash, Ry Cooder, Bonnie Raitt, James Taylor, Carly Simon, Tom Petty. L’attivista Tom Campbell pensò di coinvolgere anche Bruce Springsteen e gli chiese di prendere in considerazione l’idea di suonare al concerto. Sorprendentemente Bruce fu subito entusiasta.

Nel 1979, non solo era esploso il reattore nucleare ma, ormai da qualche anno, era esplosa anche la musica punk, così che quei post- hippie californiani si trovarono nella necessità di far salire a bordo qualcuno in grado di attirare l’attenzione anche dei più giovani.

Bruce Springsteen rappresentava il perfetto trait d’union tra questi mondi: la California e New York, il vecchio e il nuovo, le ballate acustiche e l’urgenza elettrica, la profondità e la leggerezza.

Springsteen, fino a quel momento, si era sempre tenuto a distanza da coinvolgimenti politici, ma probabilmente la paura del disastro nucleare, avvenuto a poco più di 100 miglia da casa, lo convinsero a legare la sua musica a qualcosa di reale.

Al Madison Square Garden di New York, Bruce Springsteen salì sul palco e si prese tutto, consegnando alla storia, un’ora e mezzo di musica magistrale.

Siamo in una fase cruciale della sua carriera, forse il picco creativo più alto, tra “Darkness on the Edge of Town e “The River, giusto un attimo prima di “Nebraska”.

La E Street Band è al suo massimo, vestiti come i protagonisti di un film di Scorsese, impegnati a sparare con forza la migliore musica del momento, mentre Bruce sfila davanti a loro come un incrocio impazzito tra Elvis, Bob Dylan, Al Pacino e Marlon Brando.

Poesia da strada e Rock and Roll, sudore e redenzione, resistenza e dignità e poi la politica, l’economia, il nucleare. Parole e temi enormi, persino incomprensibili per un giovane artista del New Jersey che non sapeva cosa fosse giusto, ma che conosceva bene l’ingiustizia, l’aveva vista negli occhi di suo padre ogni giorno che entrava in fabbrica, l’aveva vista nelle vite andate a pezzi della sorella e di suo cognato che avevano perso lavoro e vivevano in condizioni precarie o in quella dei tanti amici scomparsi in Vietnam.

Bruce Springsteen non faceva politica diretta, ma le sue canzoni erano piene zeppe di storie che mostravano gli sciagurati effetti che gli errori della grande politica hanno sulla gente.

Il suo ultimo album “Darkness on the Edge of Town” parlava di gente comune impegnata a sopravvivere, così che adesso, deve aver pensato Bruce, ci mancava giusto l’incidente nucleare a complicare la situazione.

Sono Prove it all Night, Badlands, The Promised Land ad aprire il concerto, perfette canzoni per motivare la sua presenza sul palco e manifestare la rabbia. Poi, per la prima volta assoluta, arriva The River, con il suo racconto di disillusione e disoccupazione.

Uomini e donne malmenati e abbandonati ai bordi della strada, gente sepolta nel fango, vite che marciscono o esplodono nelle fabbriche e nei campi sotto il sole, ragazzi feriti, nemmeno morti, gente invisibile nei vicoli delle città, di cui nessun poeta ne racconterà mai le gesta, gente dimenticata dalla società come i suoi amici, come suo padre.

Sotto traccia il concerto di No Nukes è questo, ma sopra è la potenza della musica spinta al suo massimo, come i Rolling Stones nel ‘71, Jimi Hendrix a Monterey, la Rolling Thunder Revue di Dylan, gli Who a Leeds, i Clash al Rainbow: Rock and Roll che eleva lo spirito, energia che spinge verso il futuro, una forza liberatrice che connette con gli altri esseri umani, nonostante le difficoltà, le sconfitte, le umiliazioni.

Il regista Mario Monicelli, alla domanda su quale fosse il segreto della commedia all’italiana, rispose deciso: il fallimento. Il senso del fallimento è quello che rende credibili e piene di significato le storie che vengono raccontate.

Come i personaggi del miglior cinema italiano degli anni 60′ e 70′, i protagonisti delle canzoni di Bruce Springsteen vivono sballottati nella miseria, antieroi che mai vinceranno, gente comune costretta ad arrangiarsi per sopravvivere, destinati su se stessi nell’impossibilità di cambiare la propria condizione di vita.

Che sia un vicolo di New York o una piazza a Roma, poco cambia, quando moriranno nessun poeta scriverà di loro, come le tante impersonificazioni di Alberto Sordi o di Nino Manfredi, come quelle più combattive di Gian Maria Volonte’, alla fine per loro ci sarà sempre l’inevitabile, rovinosa, benefica sconfitta.

E’ la vita quotidiana che diventa implacabile, che ti spoglia di tutto, che non ti lascia nulla, quello che c’è intorno è qualcosa di simile al disastro, la tentazione è quella di naufragare eppure c’è la determinazione di volersi liberare da un circolo vizioso di sofferenza che ruba alla genta la parte migliore della vita.

un giorno, non so quando, raggiungeremo quel posto
e finalmente cammineremo nel sole
ma fino ad allora siamo destinati a correre”

In uno dei momenti più alti della serata Bruce grida nel microfono “I’m just a prisoner of Rock and Roll”, con tutte le sue contraddizioni di libertà e impotenza, come se il mondo si muovesse dentro due estremi: quello reale che stritola e il mondo del Rock and Roll, alimentato dall’eccitazione e dalla più gioiosa, ingenua e innocente speranza.

Dopo aver portato la tensione drammatica al suo massimo, dopo aver tirato al massimo le corde, nella seconda parte del concerto, Bruce Springsteen & The E Street Band liberano i cavalli come se non ci fosse un altro giorno da vivere: Rosalita, Born to Run, Detroit Medley, Quarter to Three.

Un live come una corsa verso la felicità. Un disco e un film di quelli che ti fanno chiedere: può il Rock and Roll dire così tanto? Può parlare così forte, senza riserve e con tale potenza?

Come ha scritto Nick Hornby: «in fondo se la vita è una cosa triste e molto seria, c’è sempre un pò di speranza; sarò pure depresso in preda al dramma esistenziale, o magari un idiota contento, ma in ogni modo una canzone come Thunder Road dice esattamente come mi sento e chi sono, e questa in fin dei conti è una delle considerazioni dell’arte».

TRACKLIST

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