Le versioni sinfoniche dei grandi classici di un artista
sono generalmente una pomposa rilettura di canzoni sentite e risentite.
Questo è quello che generalmente accade e con questo spirito ci siamo
avvicinati al concerto sinfonico di Francesco De Gregori. Insomma abbastanza
prevenuti.
E invece…
Ma andiamo per ordine e partiamo dall’inizio della serata, aperta da Noemi.
La cantante romana uscita dalla fucina di X Factor ha dimostrato di avere le carte in regola per essere una delle principali protagoniste del mondo musicale italiano al femminile, ma anche, alla fine, di non avere (ancora?) la forza di spiccare il volo ed entrare definitivamente nel Pantheon della musica italiana.
E’ brava. Ha una voce sicuramente interessante e dai colori molto scuri ma (ancora?) non risce ad emergere.
Ottima spalla anche in un concerto importante come quello di De Gregori, difficilmente la potresti pensare protagonista di una serata tutta sua. Ed è un peccato perché le potenzialità ci sono veramente tutte.
Prima che De Gregori salga sul palco con l’orchestra, arriva, a sorpresa, Tricarico – ospite non annunciato – che esegue 3 brani nei quali dimostra che, oltre a essere un ottimo autore, è anche un interprete di spicco della canzone d’autore. O almeno, lo potrebbe essere, poiché alla fine è rimasto – anche lui – una promessa mai mantenuta al 100 per cento e pare destinato a restare in quella fascia grigia di chi, pur essendo bravo, non fa mai il salto verso il successo.
Alla fine, dopo tutti i preparativi del caso, arriva sul palco Francesco De Gregori.
Della prevenzione nei confronti della versione sinfonica,
abbiamo già detto, ma vogliamo aggiungere che si tratta di una buccia di banana
sulla quale scivolano quasi tutti gli artisti, non solo italiani. Probabilmente
la tentazione di essere accompagnati da un’orchestra è molto più forte di
qualsiasi logica. Probabilmente il facile guadagno che ne deriva è una
tentazione altrettanto forte.
E non sempre il risultato è degno delle aspettative.
Molto spesso si tratta di riletture perfino eccessive di brani che, magari,
avevano il loro successo proprio in identità musicali particolari. Ecco perché questo
genere di operazioni in linea di massima ha il solo sapore commerciale.
E con questa idea abbiamo approcciato anche i 40 elementi che accompagnavano De
Gregori.
Invece a sorpresa la rilettura è stata molto interessante.
L’orchestrazione delle canzoni classiche di De Gregori è infatti risultata
molto sobria. Non ha mai snaturato i brani aggiungendo al massimo qualcosa di
interessante cioè dei suoni che le hanno arricchite, senza però renderle ‘diverse’.
Può sembrare banale, ma non è così. Spesso, molto spesso (quasi sempre?) le
orchestrazioni hanno il difetto di prendere le canzoni originali e farne un
qualcosa che si allontana molto da quanto pensato a suo tempo. A volte questa
nuova chiave di lettura è in qualche migliore. A volte, invece, danno vita a
nuovi brani, che assomigliano a quelli che ci erano piaciuti nella versione
originale ma che ci si presentano solo come un ‘pasticcio sinfonico’.
De Gregori, però, non è caduto in questa trappola e non ha ceduto alla
tentazione della ridondanza, ma ha realizzato versioni nuove, tutto sommato
interessanti.
Sono le canzoni di sempre quelle che hanno fatto la storia del cantautore
romano, che semplicemente si avvale
della magia che indubbiamente i 40 elementi di un’orchestra danno per ‘rinfrescarle’.
Ne risulta un concerto gradevole che fa rivivere dei pezzi entrati nella storia
della musica italiana e propone un De Gregori a suo agio di fronte a una piazza
piena di fans che lo acclamano e cantano con lui e che si concede anche delle
pause tra un brano e l’altro per introdurre canzoni che certamente non hanno
bisogno di presentazione, dando così anche un colore meno ‘freddo’ all’intero
live. In definitiva, quindi, a dispetto delle aspettative, si è trattato di un
concerto molto piacevole e decisamente interessante anche dal punto di vista
musicale.