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‘One More Light’, la svolta ‘morbida’ dei Linkin Park, ma dov’è la loro ‘anima’?

Chi ha amato i Linkin Park di “In the end” o di “Numb” rimarrà quanto meno sconcer­tato da questo nuovo lavoro “One more light”.
Per loro stessa ammissione si tratta di un disco anomalo e non possiamo che essere d’accordo con questo aggettivo.

Manca l’anima stessa dei Linkin Park che lascia spazio a un pop sicuramente alternativo ma lontano dai
suoni tipici della band.

Non ci sono gli urli di Bennington in compenso ci sono dei coretti che sanno tanto dei peggiori Coldplay.
Troviamo chitarre acustiche e “morbide” che vanno a sostituire ai suoni duri e arrabbiati ai quali ci hanno abituati in questi anni.
Le canzoni (ma forse dovremmo dire “canzonette”) rimandano a gruppi di successo nelle fasce più giovani del pubblico (mi vengono in mente gli One Republic, ma anche i 1975), senza però riuscire nell’intento di agganciare il pubblico di quelle band.

Di fatto, con un lavoro di questo genere, i Linkin Park riescono a scontentare tutti. Come dicevamo, non catturano un pubblico giovane, ma soprattutto allontanano – forse definitivamente a questo punto – i fans storici e perdono completamente la loro identità.

Ci verrebbe da dire che dovevano fidarsi di più della loro fan-base e continuare sulla strada nu metal che avevano intrapreso da sempre.

Non lo hanno fatto. Il ‘declino’ era iniziato già con il disco precedente ‘The Hunting Party’, quando avevano fatto ampie concessioni proprio a suoni ‘più giovani’ per essere maggiormente trasversali. Adesso la deriva è completa. Manca totalmente «l’anima» Linkin Park, come dicevamo, e ne viene fuori un disco che, per certi versi, può essere anche ben fatto, piacevole da ascoltare e con pezzi di sicuro impatto, come il singolo ‘Heavy’ che ha fatto da ‘apripista’, ma anche ‘Good Goodbye’, ‘Battle Symphony’ o ‘Invisible’ e con testi non così banali e scontati come la musica potrebbe far pensare, ma certo non sono i Linkin Park.
Se si vuole ascoltare la band americana di Chester Bennington e di Mike Shinoda, bisogna per forza rispolverare almeno ‘Minutes to Midnight’ o andare perfino più indietro.

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