Che gli Acid Brains siano ‘figli‘ del migliore grunge e del migliore punk non è una novità e il loro sesto lavoro, ‘Thirty Three‘ non smentisce, musicalmente parlando, questa forte influenza.
Il nuovo lavoro – il sesto nella carriera della band lucchese – rappresenta un ulteriore passo avanti nella ricerca musicale (e non solo) di questa formazione capitanata da Stefano Giambastiani (voce e chitarra), che si racconta attraverso le canzoni composte per questo nuovo lavoro.
Per sua stessa ammissione in una recente intervista, Giambastiani afferma di essere stato più diretto nella rappresentazione del suo mondo attraverso i testi delle canzoni composte per ‘Thirty Three’. E, in effetti, il risultato di questa apertura è sicuramente avvertibile nei nove brani che compongono l’album e che sicuramente dimostrano una maggiore maturità, oltre che nel suono, anche nei testi appunto.
L’album è nettamente diviso in due parti. La prima, con cinque canzoni, è in inglese, mentre la seconda, con quattro brani, è in italiano. Una scelta, una divisione, fatta quasi per mettere ordine nelle idee. Le loro. Le nostre.
Il risultato è una sensazione di compiutezza, di un discorso omogeneo che si sviluppa attraverso i brani e accompagna chi lo ascolta nel mondo degli Acid Brains.
Un mondo nel quale si è inserito perfettamente il nuovo batterista, Luca Bambini, che ha egregiamente rimpiazzato Stefano Marchi (impresa peraltro non semplice) ed è andato ad affiancare gli altri membri della band – oltre a Giambastiani, Alfredo Bechelli alla chitarra e Antonio Amatulli al basso – con estrema naturalezza, come fosse sempre stato parte di questo mondo.
Il singolo apripista ‘Make up Your Mind‘ è un ottimo specchio dell’intero album con il suo riff di apertura e quel ‘grido di battaglia’, quello ‘yeah‘, che riporta ad echi di un passato non così lontano da essere dimenticato e che gli Acid Brains fanno rivivere al meglio.
In linea con i testi e – forse soprattutto – con le sonorità degli Acid Brains arriva l’artiwork e la cover, rispettivamente curati da Denis Gualtieri e da Federico Fabbri, che dal dominante colore giallo e ai disegni dissacranti, riescono a dare un senso di continuità tra le immagini, i suoni e le parole.
In fondo, anche in dettagli come questi si vede la qualità del lavoro svolto e il reale valore di una band.