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File Toy su quello che potrebbe essere il suo ultimo album: «’Euterpe’ è il disco che volevo uscisse»

Da pochi giorni è uscito ‘Euterpe’, il nuovo lavoro di File Toy, (Glory Hole) che, in quindici tracce, racconta il suo mondo e, soprattutto, si racconta. Il lavoro è stato prodotto interamente da Dj Rogo e vanta numerosi featuring, che lo arricchiscono, ne rappresentano il ‘valore aggiunto’, ma non sono il punto focale di questo disco. ‘Euterpe’ è sicuramente un disco maturo, profondo, nel quale il ‘bello’ e il ‘brutto’ della vita sono affrontati con quella lucidità che proviene dalla consapevolezza della maturità artistica. Questo è il nodo centrale di un album che si fa ascoltare e ascoltare e ascoltare.

Ne abbiamo parlato con File Toy, per capire meglio dove ci ha portati con questo suo lavoro, che (forse) potrebbe essere l’ultimo.

Partiamo proprio dall’inizio e cioè da come nasce ‘Euterpe’…
«In realtà è stato un disco strano: quando è stato concepito, non sapevo ancora che direzione prendere. Stavo pensando di fare un album, ma non sapevo ancora come, con quali beat. Poi, è spuntato un amico di vecchia data, Dj Rogo e mi ha proposto di fare un album insieme. Mi è sembrata una buona idea, ma, poi, è partita un po’ la paranoia su una produzione affidata a una sola persona. Venivo dall’ultimo lavoro, ‘Sembra impossibile’, che era tutto su beat di West, quindi non ero del tutto sicuro di fare un disco con un solo produttore. Poi mi sono detto: ‘puntiamo a un ep e vediamo come viene’, alla fine è uscito un disco, che, anche se c’è sempre lo stesso produttore, è abbastanza vario. Insomma, sono riuscito a tirare fuori il disco che volevo uscisse».

Ascoltandolo, in effetti, sebbene sia sempre lo stesso produttore, il suono cambia molto da canzone a canzone
«Sì, è vero. All’inizio è stato un po’ un terno al lotto: poteva uscire anche sempre lo stesso, ripetitivo sound, oppure – come fortunatamente è successo – qualcosa di così vario».

‘Euterpe’ vanta anche dei bellissimi featuring: come sono nati, come li hai scelti e come si sono sviluppati?
«A me piace fare le collaborazioni con persone che conosco bene, con amici. Gli unici con i quali non avevo mai collaborato sono Brenno, che comunque è un superamico, con cui mi trovo bene, è un pazzo come me. Poi c’è 2Bet, un ragazzo di Salerno come RoGo. Ho avuto modo di conoscerlo bene quando sono andato a prendere i beat: ho sentito delle sue cose e, quasi in automatico, gli ho chiesto un feat, perché mi piaceva molto quello che faceva. E poi, c’è Zampa, che per me è un master da quando ero ragazzino, anzi eravamo ragazzi, perché non ci sono poi così tanti anni tra noi. L’ho conosciuto durante il secondo Dead Poets e gli ho chiesto di collaborare. A lui ha fatto piacere ed è uscita ‘Alba rosa’, secondo me una delle migliori tracce del disco, dove c’è anche Inox con un grande ritornello».

C’è una canzone che ti rappresenta di più in questo disco?
«Io vado un sacco a sensazione e tutti i miei dischi, compreso questo, sono sempre parti della mia vita. Anche quando faccio storytelling, lo faccio della mia vita. Non riesco a rappare cose che non sento mie. Quindi, di base è tutto sentito. Questa volta, a livello di testi, quello di cui sono stato veramente felice è che sia uscito una traccia come ‘Cintura di insicurezza’, perché c’ho buttato un po’ tutto quello che è stato detto dalle altre persone a me e alla mia famiglia, quando potevi sembrare la feccia della strada. C’è tanto di me in questa traccia: nella prima strofa c’è quello che mi veniva detto e, nella seconda, usando la stessa metrica e lo stesso flow, dice invece com’è andata realmente la vita. Il ritornello lo poteva fare solo uno dei miei più grandi amici – Askal Fukushima – che tutto quello che dico lì dentro, lo sa, lo ha vissuto e mi è stato accanto».

Veniamo alle note dolenti: hai detto che questo sarà il tuo ultimo album: possiamo sperare in un ripensamento?
«Questo album è per me una sorta di ‘rinascita’, perché sono riuscito a tirare fuori un disco come lo volevo e spero di aver trasmesso quello che volevo trasmettere. A parte che, come dicevo prima, vado molto a sensazioni, quindi niente è definitivo, sicuramente non ho detto che è l’ultimo album per fare hype o pubblicità al disco, ma è un qualcosa che sto realmente pensando, un po’ per il cambiamento generale della musica, un po’ per altri motivi. Quello che è certo è che non si smette mai realmente di fare quello che ci piace, però un disco così, non so se riuscirò mai a rifarlo. Quindi, in ogni caso, che sia l’ultimo del mio percorso musicale, l’ultimo di questo genere o l’ultimo in cui mi metto così a nudo, diciamo che chiude comunque un periodo, anche perché voglio rimettere la testa su alcune cose che ho trascurato, come i disegni. Ho bisogno di qualcosa che mi dia altri stimoli».

Tu, appunto, non sei ‘solo’ un musicista, ma ti dedichi un po’ a tutte le forme d’arte e sei un artista a 360 gradi: c’è una forma d’arte che preferisci?
«Diciamo che la torta dell’hip hop me la sono mangiata tutta [dice ridendo]. Da ragazzino mi sono avvicinato al mondo dell’hip hop attraverso il writing, poi dal writing è partita la musica, con la quale comunque sono cresciuto, perché, praticamente da quando sono nato, mio zio ha dei locali e, a casa, ha qualcosa come 50mila dischi, quindi sono nato e cresciuto tra De La Soul, musica nera e musica in generale. Considera che prima ancora di appassionarmi al rap, ascoltavo Snoop Dogg, per capirci. Però i graffiti sono stati il primo, vero, reale amore. In qualche modo mi hanno risolto la vita e mi hanno dato veramente tanto, a livello di relazioni sociali, amicizie e, quindi, il fulcro per me rimangono i graffiti. Da lì parte la vita di File Toy».

Come la vedi, oggi, la musica in Italia?
«A me piace la musica fatta bene, di qualsiasi genere essa sia. Se sali in macchina con me, puoi ascoltare i Dead Kennedys, come posso mettere i Cypress Hill, come posso ascoltare i Metallica o gli Oasis. Questo ti fa capire che non guardo ai generi musicali. Anzi, non riesco nemmeno a concepirli. Anche gli zoccoli duri del rap, alla fine mi fanno l’impressione di voler ghettizzare ed è una cosa che proprio non sopporto. Non concepisco la ghettizzazione in qualsiasi ambito della vita, figurarsi nella musica. Poi, logicamente, c’è la musica fatta bene e la musica fatta male. Guardiamo allo zoccolo del rap: se andiamo a fare un’analisi logica, tutto quello che c’era prima era figo perché non c’era altro. Però, se guardiamo bene, sono usciti anche tanti dischi che non meritavano e che, invece, sono stati osannati. Adesso, poi, c’è la trap: anche qua c’è chi la trap la fa bene e riesce a farmela ascoltare. Poi, guardando in generale (e qua la dico come la penso, perché sono fatto così), abbiamo rotto perché il rap non lo considerava nessuno, e ora che ha successo vogliamo rompere per quello? Rispetto le opinioni di ognuno, per carità, ma secondo me, alcuni discorsi nascono un po’ anche dall’invidia: non è che se ti sentivi il re del mondo perché avevi successo, in automatico questo sarebbe durato per sempre. A me questo lo hanno insegnato i graffiti, che, come ti dicevo, sono sempre molto importanti e mi hanno insegnato la vita: se un anno ti facevi cento treni, eri il ‘capo del mondo’, ma se ti fermavi un anno e arrivava il ragazzino che ne faceva 200, automaticamente eri surclassato. E questo succede per qualsiasi cosa, anche nel lavoro. Quando uno che semplicemente per motivi suoi mentali ha detto ‘ah mi distacco perché questa cosa non fa per me’ e, dopo 10 anni, quando vede che quello che ha lasciato ha successo, inizia a buttare merda su tutti, ecco, questo non mi va bene. Anzi, non mi sembra nemmeno normale. Mi piacerebbe che tutti ragionassero sul fatto che la musica è musica. Parliamo di musica e non andiamo a ghettizzare i generi: quei discorsi solitamente non sono veritieri, ma nascono di pancia da persone che rosicano».

Secondo te, adesso l’ascolto della musica è più superficiale che in passato?
«L’ascolto superficiale è il lato brutto di oggi. Però purtroppo è quello che è stato insegnato ai ragazzi. Io sono qua e sento il disco, tutto. Oggi, invece, c’è il singolo. Ad essere cambiato è lo stesso concetto di musica ed è un fenomeno a livello mondiale. Una volta ascoltavi un disco intero, come il mio ad esempio (e questo è il lato anacronistico del mio progetto), mentre adesso è tutto singoli, singoli, singoli. E’ cambiato il mondo, ma è cambiata anche la pazienza. Di fatto non c’è più pazienza. E ammetto che sia diminuita anche in me: il mondo sta andando verso un punto e, per stargli appresso, anche tu che hai ragionamenti seri e ben assettati e assestati, alla fine vai di fretta».

Certo questa superficialità di ascolto penalizza lavori come il tuo che, invece, va ascoltato con un po’ di attenzione…
«Si, però quando decidi di fare una cosa, alla fine, se non sei un folle, metti in conto tutto, anche che venga penalizzato. Io faccio i dischi fondamentalmente per me. Poi chi se lo vuole ascoltare, se lo ascolta, chi gli vuole dare un ascolto superficiale, gli dà un ascolto superficiale. D’altronde non è che possiamo stare a gestire troppo quello che succede. Quello che si può fare è limitarci a realizzare un prodotto che prima di tutto soddisfi te, artista che lo fai. Tutto il resto è tutto quello che viene. Non riesco a fare canzoni pensando che prenda determinate masse, le faccio in modo che mi soddisfino. Chi ci si rivede bene, chi non ci si rivede, non posso farci niente».

Esiste un featuring dei sogni?
«Oggi come oggi è Speranza. Mi piacerebbe fare un feat con Speranza. Musicalmente è bravissimo, poi quando vedi i video dei live, capisci che è una macchina da guerra. Considerando che per me il live è il 70 per cento, questo aspetto non è certamente poco».

Prima dell’uscita di ‘Euterpe’ (l’album), hai fatto uscire un singolo che, poi, però non hai inserito nella tracklist: come mai?
«Euterpe fondamentalmente è la musa della musica. Che dovevo fare? Una canzone sulla musica? Non mi sembrava il caso e ho deciso di non farla, perché è tutta musica. E questo è il mood di tutto il disco. Ho pensato fin dall’inizio se fare una canzone ‘Euterpe’, ma non ne trovavo il senso. Tutto il disco è musica, quindi tutte le tracce sono ‘Euterpe’ e il singolo è rimasto a guardare il disco che usciva e sono sicuro che Euterpe, la musa, sia felice così» [ride].

Ci sarà una versione in vinile di ‘Euterpe’?
«Dipende. E non da me. E’ una scelta di marketing: se c’è richiesta sì, anche perché è sempre bello fare il vinile, ma per il momento no. Certo, fosse per me farei anche le musicassette…».

Come mai non metti mai i testi delle tue canzoni nei tuoi album?
«In realtà non ci penso quasi mai a questo. Forse è anche un po’ perché spero sempre che gli altri li capiscano al volo ma alla fine non c’è un vero motivo per cui non li metto».

Consigliaci un disco da ascoltare…
«Non è una domanda facile, anzi è una domanda bastarda. Ce ne sono tanti, ma in questo momento sto ascoltando molto ‘Iodegradabile’ di Willie Peyote. Mi piace tantissimo: lui è quello che vorrei essere. Sono cinico così, sono bastardo così anch’io, ma vorrei avere la sua leggerezza nel dirlo. E’ molto ad effetto, è un po’ come se scende dio e parla. Mi piace moltissimo».

Prima di lasciarci, dicci un po’ come sta Dina [la sua canina che, a volte, appare anche sul palco], che fa di bello….
«Dina, che si chiama come la mia nonna e che ha anche il suo carattere, sta bene, anche se è un po’ arrabbiata perché siamo stati via per il weekend e, quindi, oggi non mi lascerebbe mai, per paura che risparisca».

Con un po’ di coccole a distanza per Dina, si conclude quella che, più che un’intervista, è diventata una chiacchierata piacevole su uno dei dischi più belli usciti quest’autunno e, forse, quest’anno.

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