Album di debutto per l’americana Mary Suttun, cantautrice che vive a Portland nell’Oregon: questo lavoro si è materializzato durante una performance nella quale aveva un accappatoio della piscina di una sauna: «Non avevo mai composto per synth prima di allora – spiega l’artista – ma volevo fare qualcosa che facesse stare la gente seduta, immobile ad ascoltare la mia musica, rilassata come in una sauna: questo era quello che volevo sentire».
E’ stato in questo spazio mentale che si è riconnessa con Satie, dando vita a motivi ciciclici, in modo particolare nel modo in cui l’artista «sottilmente mette insieme frammenti melodici, armonie pungenti e fraseggi, così le ripetizioni sembrano sempre nuovi scorci musicali e sorprendono, sebbene suonino al tempo stesso in qualche misura familiari. E’ un po’ come pronunciare un incantesimo».
La nona traccia strumentale, ‘The Deep End‘, centra perfettamente questo bersaglio, essendo fatta di ombre complementari tra loro, suoni ipnotici, atmosfere introspettive, divertissement glaciali e cantilene lunari, inserite all’interno di una melodia contemplativa.
Le canzoni della Sutton non sono comunque semplici canzoni ambient: la loro struttura è più suggestiva rispetto a composizioni di questo genere: vi sono presenti asimmetrie che inducono sogni a occhi aperti. Ogni brano è stato scritto specificatamente per essere suonato live con un sintetizzatore analogico, senza alchimie nate dalla post-produzione.
Il suono di Saloli è avvolgente e trasporta in uno stato emotivo ed elettrico, fatto di macchine che parlano attraverso le mani umane.