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Murubutu torna al comando dell’Armata delle Tecniche e con il IV volume conferma che, volendo, è tutto è possibile. Anche spiegare la retorica

Zitto, zitto. Senza anticipare niente fino alla quasi-vigilia dell’uscita, Murubutu è uscito dal Monastero delle Tecniche, dove, da una decina di anni, si stavano riposando i militi dell’Armata delle Tecniche con i loro cavalli e, in sella al sauro arabo che da sempre cavalca, a capo dell’Armata – oggi formata da Dj Caster e Il Tenente – ha mosso battaglia all’impoverimento del linguaggio nel rap, realizzando il capitolo finale di un vero e proprio compendio di retorica: ‘L’Armata delle Tecniche vol.4’.

Se qualche studente avesse bisogno di un ripasso delle figure retoriche, le più importanti, ma anche quelle più desuete – voilà – ha risolto i suoi problemi senza nemmeno dover ricorrere a qualche compendio o doversi sorbire noiosi manuali. C’ha pensato Murubutu.

Nei tre precedenti episodi della saga, infatti, c’era spazio anche per altri ‘ostacoli’ grammaticali in cui spesso si incappa leggendo alcuni testi, come i verbi e, in particolare, il congiuntivo – da «Tocca i miei nervi scoperti l’mc che sbaglia i verbi» a «Non si dice ‘che tu sei’, ma si dice ‘che tu sia’», tanto per fare degli esempi – stavolta invece si è concentrato sulla retorica e, in particolare, sulle figure che ancora mancavano da quelle affrontate nei tre brani che hanno preceduto questo.

Ed è così che si passa dall’antifrasi, alla metonimia, alla litote, fino allo zeugma che si suppone, oltre ovviamente a Murubutu, pochi altri sappiano di cosa si tratti e quando possa essere usato consapevolmente. Non solo citati, ma anche esemplificati, giusto per non farsi mancare niente. Come, del resto, ogni ‘manuale’ che si rispetti deve presentare.

E’ un po’ che si nota, nei lavori di Murubutu, una progressione verso l’alto. Continua ad alzare l’asticella e lo fa anche questa volta, confrontandosi con un tema estremamente ‘tecnico’ quale la retorica e portandolo in un ambito altrettanto tecnico, come questo rap. Poteva essere una collisione che dava vita a un buco nero, con qualcosa tra l’incomprensibile e l’inascoltabile. Invece il brano è una brillante stella che illumina il panorama musicale, dimostrando che, volendo, si può fare tutto o quasi. Basta, probabilmente, averne gli strumenti (e la voglia).

L’intenzione del brano, comunque, è dichiarata apertamente: non è un pezzo ‘trap-tecno’, ma si tratta di ‘rap tecnico’, dice.

E qua si arriva all’altro tema del pezzo: la trap.

L’«amore» di Murubutu per la trap è cosa nota e certamente non stupisce che, dovendo fare degli esempi anche in negativo, peschi dal cappello proprio la trap. Non solo. A ben vedere, la scelta rapportare la trap (genere che nella maggior parte dei casi non brilla certo per testi ‘colti’) alla retorica per un testo del genere è essa stessa un ossimoro.

Ci tiene, comunque, a spiegare che non si tratta di un attacco frontale a un genere musicale, come, invece, potrebbe sembrare a un ascolto che non vada oltre le apparenze: «E se qualcuno pensa che questo sia un vero dissin’, allora aveva davvero bisogno di un piccolo ripasso…», dice, infatti, commentando l’uscita dell’«Armata delle Tecniche vol.4».
Insomma, mette un po’ le mani avanti e previene eventuali polemiche.

Ma quanti faranno quel ripasso? E quanti, invece, si fermeranno solo alle parole? Parole non propriamente ‘gentili’, seppur sempre molto corrette, nei confronti dei trapper e della trap in genere.

Non stentiamo a credere alla dichiarazione di Murubutu e che si tratti veramente di un pretesto per parlare di quello a cui tiene veramente, in questo caso, la retorica, ma più in generale a un linguaggio più curato, mai sciatto, spesso colto.

Resta, comunque, un piccolissimo ‘però’ in un remoto angolo. Leggendo il testo – fatto salvo l’intento di dare vita al miglior ‘bignami’ di retorica mai realizzato e riuscirci pure (cosa affatto scontata) –, è difficile cacciare via la sensazione che non abbia approfittato di un’occasione fin troppo ghiotta per scagliare un dardo avvelenato. Non si capisce nemmeno lontanamente a chi eventualmente sia diretto il dardo. E, in realtà, il ‘bersaglio’ non è necessariamente né un genere musicale, né un musicista in particolare, ma potrebbe essere chiunque o qualunque situazione. Ad ogni modo, la sensazione che sia lì, nascosto tra le parole e le righe, a uso e consumo del solo destinatario, resta.

Alla fine, però, questo è solo un dubbio che fa da sfondo alla cosa importante, l’unica – forse – veramente degna di nota: l’uscita di un bel pezzo rap, tecnicamente perfetto e con un contenuto decisamente diverso dai temi (e soprattutto dal linguaggio) a cui il mainstream ci ha abituati.

Spesso si è associata la definizione di ‘rap didattico’ ad alcuni testi di Murubutu, in genere quelli legati a episodi storici: in questo caso, la definizione calza a pennello e forse è perfino limitativa, poiché non siamo di fronte a pura nozionistica, ma a un’applicazione pratica, in una forma artistica tra le più contemporanee, di qualcosa che, diversamente, resta relegato ai libri di studio e destinato a essere presto dimenticato.
Una piccola parentesi totalmente personale: come non apprezzare la lancia spezzata a favore della battaglia contro l’errato uso del «buon ‘piuttosto che»’?

Il testo è sicuramente centrale in questo brano, ma non è da sottovalutare la parte musicale, che si adatta perfettamente: la produzione de Il Tenente dà un’impronta scura e, a tratti, incalzante al beat ed è perfetta per far risaltare il contenuto, mentre gli scratch di Dj Caster punteggiano – e a momenti alleggeriscono – l’atmosfera di testo e musica.

L’ultima nota va al video, realizzato da Giovani Elettrici FIlm: è un lyric video, cosa fondamentale per un testo del genere che va compreso in ogni sua singola parola, accompagnato da immagini suggestive e a tema, che portano all’interno del testo e non distraggono dal suo significato. Di più, in effetti, non si poteva chiedere.

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