Pubblicato il Lascia un commento

Claver Gold parla di ‘INFERNVM’: «Un’esperienza che mi ha riempito di nuove emozioni»

E’ uscito da circa una settimana ‘INFERNVUM’, il concept album sull’Inferno dantesco, realizzato da Claver Gold e Murubutu e si è già attestato come uno degli album più interessanti dell’anno. A dirlo non sono solo le acclamanti recensioni, ma anche (e forse soprattutto) i dati degli streaming, siano di Youtube, di Spotify o quelli dei download dell’album.
Quale occasione migliore della prima settimana di vita per parlarne con uno dei due autori, Claver Gold?

Come nasce l’idea l’idea di un concept album sull’Inferno del Sommo Poeta?
«L’idea nasce da me. Era tanto che volevamo fare un disco insieme con Alessio (Murubutu, ndr), solo che non c’era mai stato il tempo di metterci sotto nel periodo giusto per poter scrivere e pensare. Avevo una vecchia versione della Divina Commedia a casa e ho detto ad Alessio ‘A me piacerebbe fare la Divina Commedia’ e lui ha subito detto di sì, perché alla fine sono due gli interpreti e ci siamo un po’ rivisti in loro. Devo anche dire che il tema dell’Inferno è sempre molto contemporaneo ed è facile immedesimarcisi: da lì siamo partiti e da lì è partito tutto il viaggio».

Come avete scelto i personaggi che popolano ‘INFERNVM’?
«Alcuni dovevano assolutamente essere scelti per forza: non potevamo non mettere Caronte, Paolo e Francesca, oppure Lucifero o Minosse. Questi andavano messi. In altri casi, invece, ci siamo fatti affascinare da personaggi minori, dove per ‘minore’ intendo magari Pier delle Vigne che è, comunque, conosciuto, ma non certo come Caronte o Lucifero. Oppure come Taide che sicuramente non è famosissima. Anzi, nella Divina Commedia, Dante le riserva qualche riga, forse una terzina, ma fa parte di quei personaggi che potevamo reinserire in chiave moderna. Questo è un lavoro che, in genere, Murubutu non fa: lui, di solito, attinge molto alla storia e costruisce la storia sulla storia. Qua, invece, abbiamo provato a fare insieme questo lavoro diverso e portare nell’oggi i personaggi di ieri».

C’è stata una sorta di suddivisione nella scelta dei personaggi o è stato un percorso condiviso?
«Condiviso. Taide l’avevo scelta io all’inizio ed è stata la prima canzone che abbiamo scritto, poi abbiamo fatto una selezione di personaggi che, all’inizio era più ampia e abbiamo fatto una cernita, finché non sono rimasti quelli che sono effettivamente nel disco. In realtà abbiamo fatto un po’ e un po’: ognuno iniziava un testo, in modo che non venissero improntati tutti alla stessa maniera. Ad esempio, ‘Pier’ l’ho iniziata io e lo stesso ‘Taide’, mentre ‘Ulisse’, Murubutu: insomma abbiamo fatto un po’ e un po’, in modo che così avevamo la possibilità di portarci avanti con il lavoro. Quando uno di noi era bloccato su una traccia, iniziava a lavorare su un beat messo da parte per un brano e l’altro finiva un altro pezzo ancora. Quindi è stato un lavoro in piena collaborazione».

Murubutu e Claver Gold

Com’è stata l’esperienza di lavorare a 4 mani con Murubutu?
«Sono molto geloso dei miei lavori, di quando faccio cose personali, quindi, poi, faccio fatica perfino a chiedere featuring o a inserire qualsiasi altro artista in un mio brano, perché penso che non riesca a entrare nel mio mondo. Con Alessio, invece, è diverso, perché mi sono reso conto che abbiamo tutti e due lo stesso obiettivo finale, lo stesso punto focale di arrivo, quindi è decisamente più semplice fidarsi dell’altro e lasciarsi andare nella scrittura. E’ un lavoro che ti fa crescere e ti fa capire come lavora l’altro. A livello personale, è stata un’esperienza che mi ha riempito di nuove emozioni».

E ne è venuto fuori un lavoro molto omogeneo…
«Ci abbiamo provato e il fatto che il punto focale fosse lo stesso ha reso tutto più semplice, anche se, poi, i tipi di scrittura sono diversi. Però trovare l’obiettivo finale prima di ogni pezzo ci ha aiutati davvero molto».

Il rischio di questo concept album è che diventasse abbastanza pesante: il tema trattato si prestava a uno scivolone del genere, che, però non c’è stato. Anzi. Ne eravate consapevoli?
«Abbiamo cercato di non fare un disco pesante, ma anche noi, quando siamo partiti, avevamo questo timore. Anche la presenza di Giuliano Palma e di Davide Shorty ha il senso di rinfrescare un po’ le atmosfere».

Appunto, ci sono solo due featuring e li avete affidati entrambi a due voci soul: parlaci un po’ di questa scelta…
«Proprio per rinfrescare il clima. Con Davide ci sentiamo spesso e anche lui è un grande appassionato di Divina Commedia: ha scritto la sua parte rapidamente ed è veramente forte».

Cambiando totalmente discorso, ci parli un po’ del tuo amore per Osvaldo Licini, che citi in ‘Mani’ su ‘Mr. Nessuno’ e che troviamo anche qua?
«C’è qualcosa negli studi che ho fatto che mi avvicina a lui. Il liceo artistico che ho frequentato è intitolato a Osvaldo Licini e, da lì, ho iniziato ad appassionarmi ai suoi paesaggi o agli angeli e, soprattutto, al suo modo di esprimere le emozioni. Poi, ogni tanto, quando faccio una rima in ‘ini’, mi dico: ‘Qua ci sta proprio bene Licini’. E mi vengono in mente i suoi quadri: l’altra volta citai ‘Le croci viventi’, adesso ‘Il vento freddo’. Sicuramente è una passione che nasce con gli studi che ho fatto, anche perché sono da sempre un grande appassionato di arte. Mi rimangono in mente le immagini, tra filmografia e arte e trovo sempre citazioni da utilizzare».

Qualcosa che, in effetti, spicca sempre molto nei tuoi brani, le citazioni artistiche. Ma cambiamo un po’ discorso: oggi come oggi, la Glory Hole rappresenta sicuramente una delle realtà più vivaci in Italia. Qual è il tuo apporto nella scelta di progetti o artisti?
«Sono in Glory Hole dal giorno 1. Anzi, il nome l’ho dato io assieme a Gaz: eravamo a prendere una birra e abbiamo deciso di provare a far nascere una piccola realtà di provincia. Poi, fortunatamente, pur nel suo piccolo e pur rimanendo nell’underground, si è espansa ed è andata bene. Tra noi c’è una fortissima amicizia e tanta fiducia reciproca. La sua figura è fondamentale: è, al tempo stesso, paterna e autoritaria. Sa sempre benissimo cosa va fatto e ti ci fa credere. Ti trasmette fiducia in quello che dice, ti ci fa credere e, alla fine, il cerchio si chiude. Lui ha con me un rapporto analogo: poco tempo fa mi ha confessato di aver avuto delle perplessità sulla mia scelta di fare conscious, ma di essersi fidato di me, perché vedeva che sapevo cosa volevo e dove stavo andando. Alla fine, è un dare e avere; un fidarsi uno dell’altro».

Più o meno collabori con tutti gli artisti della Glory Hole: un impegno non da poco…
«Alcuni giorni fa leggevo un articolo dove, in sostanza, si diceva che laddove ci sia un talento, se non lo aiuti a emergere, ti devi sentire in colpa. Ecco, anch’io la penso così e penso che agli artisti un po’ più piccoli che abbiamo in etichetta faccia comodo. Trovo ingiusto essere gelosi o invidiosi di altri rapper o del fatto che possano farcela: è qualcosa che non ho mai avuto nei confronti degli altri. A prescindere dalla musica che fanno (quella è una scelta), penso che se uno ha talento, vada spinto. Inoltre, se un ragazzo viene da una situazione difficile e per tirarsene fuori usa un certo tipo di rap che a me, magari, non piace, va benissimo lo stesso. L’importante è tirarsi fuori dai guai. Poi, quando parliamo di arte, musica e cultura hip hop, facciamo un altro discorso, ma questo è secondario se lo paragoniamo al bene della persona stessa. Sinceramente sono contento se con la musica riesci, per bravura, per fortuna o per tutti e due, a tirarti fuori da una situazione familiare o legata alla città dove vivi».

Poi ci sono i fenomeni del momento…
«Quelli durano una stagione. Anche a livello economico e di immagine. Alcune etichette dietro a questi personaggi investono talmente tanto che per loro non ci sarà da guadagnare finché l’etichetta non avrà recuperato tutto quello che ha investito in marketing, promozione, vestiti, in video. Se tu sei Pinco Pallino e vieni dal niente e io etichetta investo 100mila euro su di te – una cifra a caso – prima che tu veda dei soldi, io devo riprendere quei 100mila euro. Sì, fanno i fighi, sparano i soldi nei video, però è come dice Guè Pequeno in un pezzo: ‘finito il video, deve dare tutti quei gioielli e quei vestiti indietro’».

In effetti l’immagine sta diventando preminente rispetto ai contenuti
«Il senso è questo: c’è tanto apparire e poca sostanza. L’immagine ha un ruolo sempre più importante, purtroppo. Comunque, tutte queste sottoculture sono abbastanza di passaggio. Questi generi che somigliano al rap, ma non lo sono, passano: ce ne sono già stati e altri ce ne saranno ancora. Speriamo che finisca presto questa fase, per me è durata anche troppo. Quando però abitui le persone a qualcosa, poi è difficile disabituarcele. Quindi se adesso i ragazzi sono stati abituati in questo modo, credo che il cambio di passo debba essere generazionale, perché non possiamo più rieducare i ragazzi di adesso».

Hai più volte detto che uno dei dischi di riferimento per te è ‘Sindrome di fine millennio’, secondo te, un ragazzo di 18 anni che lo ascolti oggi, come lo vedrebbe?
«Lo vedrebbe stranissimo, quasi incomprensibile. Ma credo, altresì, che a chiunque tu chieda qual è uno dei suoi dischi preferiti, ti dirà sempre un album che è legato a dei ricordi. Io sono molto legato a ‘Sindrome’ per il periodo, a ‘950’ di Fritz Da Cat e ‘107 elementi’ di Neffa se mi chiedi tre dischi di rap italiano. Probabilmente non sono i migliori, però mi hanno emozionato e ci sono cresciuto. Li ho ascoltati mille volte, li so a memoria: credo sia quello che li rende dischi importanti per me. Un ascolto da parte di un ragazzo di oggi? Sicuramente molto dipende dal background musicale che quel ragazzo ha, ma ci dovrebbe arrivare facendo un passino alla volta indietro, altrimenti, sparato così di punto in bianco, ‘Sindrome’ potrebbe essere un colpo al cuore».

Facendo un passo indietro di qualche mese, che soddisfazioni ti ha dato ‘Lupo di Hokkaido’?
«Era un disco che volevo fare e da cui non mi aspettavo niente come ritorno mediatico. Però era quello che volevo e lo volevo realizzare con Kintsugi, a cui voglio molto bene e che stimo molto come artista e come persona. E’ un disco che mi ha dato tanto come persona, mi piace e me lo riascolto. Sono davvero contento di averlo fatto».

Come ti figuri il dopo-emergenza coronavirus?
«Spero che qualcosa possa cambiare, soprattutto a livello umano. Che ci si preoccupi meno delle sciocchezze, che non si facciano più, ad esempio, casi mediatici di sciocchezze quali i sacchetti della spesa. Quando aumentarono di due centesimi, è successo un bordello e, a ripensarci, ora, mi pare incredibile. Veramente mi pareva incredibile anche allora, però spero che chi ha combattuto la sua battaglia per i sacchetti della spesa, adesso si renda conto che forse c’è qualcosa di diverso e quando accade qualcosa di pesante e brutto in generale sia nelle famiglie, sia nella società, tutto il resto passa in secondo piano. Credo che dovremmo vivere la vita un po’ meglio nella quotidianità e goderci effettivamente tutte le cose che abbiamo».

Domanda immancabile: che progetti hai per il futuro?
«Prima di iniziare ‘INFERNVM’ con Alessio, avevo iniziato a scrivere il mio nuovo album e avevo già un po’ di pezzi da parte, quindi spero di rimettermici presto e finirlo. Non so quando, ma mi stava piacendo come stava venendo, pertanto spero di finirlo in breve tempo. Quando mi distraggo, poi faccio una fatica tremenda a tornare sopra le cose, a immergermi nuovamente nel viaggio. Adesso siamo calati completamente nella realtà di ‘INFERNVM’, che ci ha tolto tempo e che, se da una parte ci ha dato la possibilità di crescere culturalmente, ha, comunque, portato via tanto tempo per recuperare delle nozioni, con la lettura di libri, articoli, testi, quindi ora come ora siamo completamente calati nella parte. Adesso tocca uscire e rientrare nel viaggio del disco che stavo scrivendo».

Consigliaci un disco da ascoltare e un libro da leggere in questo periodo di quarantena
«Come disco direi ‘Yesterday’s Gone’ di Loyle Carner, un rapper inglese che mi piace molto e come libro, uno che ho letto recentemente e mi è piaciuto è ‘La cattedrale’ di Raymond Carver».

Alla fine, la domanda più banale, ma che è d’obbligo: seguiranno ‘Purgatorio’ e ‘Paradiso’?
«L’immaginario dell’Inferno è molto più forte di quello delle altre due cantiche. Vorremmo, ma probabilmente non avremmo lo stesso risultato, quindi, se dovessimo fare un altro viaggio insieme, probabilmente ci sposteremmo su altri percorsi».

Viene fatto di pensare che, tutto sommato, visti i risultati di ‘INFERNVM’ sia decisamente meglio così e figurarsi i due artisti che si incamminano verso altri sentieri per portarci a scoprire altri mondi e altre storie.

Leggi anche:

INFERNVUM: Claver Gold e Murubutu annunciano un album insieme

Libri, collaborazioni e nuovi progetti: in attesa di ‘INFERNVM’, una chiacchierata con Murubutu su ‘Rap-Conti’ e molto altro

INFERNVM: sono Paolo e Francesca a trainare l’uscita dell’album di Claver Gold e Murubutu

L’amore eterno di Paolo e Francesca apre la strada ad INFERNVM e racconta di quell’amore che non conosce confini di tempo e spazio

‘INFERNVM’, il viaggio di Claver Gold e Murubutu, moderni Dante e Virgilio, tra gironi, cerchi e bolge

VAI ALLA SCHEDA e/o ACQUISTA

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *